Il potere di una falsa narrazione: omofilia e disinformazione

L’informazione è un fenomeno di contagio sociale in cui a passare di testa in testa è un concetto, non un virus. Continuamente, infatti, recepiamo informazioni e le diffondiamo a nostra volta, “infettando” altre persone. E se nel mondo biologico a difenderci dai patogeni è il nostro sistema immunitario, nel mondo digitale la rete sociale in cui siamo inseriti ha un forte effetto sulle probabilità di contagio.

Negli anni Cinquanta, i sociologi della comunicazione Lazarsfeld e Merton hanno coniato il neologismo “omofilia” nell’ambito di una ricerca su come6Virale si formano e strutturano le relazioni amicali. Il termine ha oggi grande successo negli studi sulla fenomenologia del comportamento in rete: omofilia, scrive Giovanni Boccia Artieri, è «incontrare contenuti incapaci di produrre differenze rispetto al nostro modo di pensare […]. Le ricerche hanno evidenziato come la nostra socialità tenda a conformarsi secondo un principio per cui è la somiglianza a generare connessione, che è, appunto, il principio di omofilia».

In che modo queste dinamiche relazionali permettono a una falsa informazione di diventare virale? Walter Quattrociocchi, coordinatore del Laboratory of Computational Social Science dell’IMT di Lucca, ha presentato pochi mesi fa il risultato delle ricerche condotte dal proprio team di informatici sul ruolo di omofilia e polarizzazione nell’ambito della disinformazione digitale. Un monitoraggio condotto nell’arco di quattro anni, e diviso in due fasi. Nella prima gli informatici hanno analizzato post e like di 73 pagine aperte su Facebook Italia: 34 scientifiche e 39 cospirazioniste, seguite in totale da 1,2 milioni di utenti sparsi per il paese. Sono così riusciti a stabilire matematicamente che il numero di “Mi piace” su un determinato post è direttamente collegato al numero di amici all’interno del grado medio che usufruiscono dello stesso tipo di contenuto. 6IntelligenzaCollettivaDi conseguenza, più il fake – la “bufala” – è condiviso da persone che conosciamo e di cui ci fidiamo, più aumentano le possibilità di crederci a nostra volta. Nella seconda fase, l’équipe ha analizzato 4709 fake status pubblicati da pagine satiriche italiane considerate attendibili dagli internauti. Status condivisi (vedi il “Fai girare” tipico di molti di questi post) da utenti molto polarizzati, ovvero seguaci di numerose pagine di “controinformazione”.

La dieta mediatica cui siamo quotidianamente sottoposti determina il nostro “agenda-setting” e porta spesso a parlare di internet come sede dell’ignoranza collettiva, più che dell’intelligenza collettiva. L’analfabetismo funzionale è sicuramente tra gli ingredienti del successo di una “bufala” – in Italia ha raggiunto il 47% – e, se da un lato le notizie fake nascono da un intento comico, dall’altro c’è chi le mette in circolazione con un fine più pericoloso e consapevole. False narrazioni ed errate informazioni che trovano sui social terreno di coltura possono, infatti, scatenare tensioni politiche e sociali, o muovere i mercati internazionali.

Il report 2013 del World Economic Forum ammoniva: la disinformazione digitale è “uno dei principali rischi della società moderna”. Due esempi su tutti.

Fake tweets have moved markets, offering the potential to profit from digital wildfires. A Twitter user impersonating the Russian Interior Minister Vladimir Kolokoltsev in July 2012 tweeted that Syria’s President Bashar al-Assad “has been killed or injured”, causing crude oil prices to rise by over US$ 1 before traders realized the news was false.

Offrendo la possibilità di trarre profitto dalle ondate di panico online, i tweet fake hanno mosso i mercati. Un utente di Twitter, fingendo di essere il Ministro degli Interni russo Vladimir Kolokoltsev, nel luglio 2012 twittò che il presidente siriano Bashar al-Assad era stato “ucciso o ferito”, provocando un’impennata del prezzo del greggio di oltre 1 dollaro statunitense per barile prima che gli operatori di borsa si accorgessero che la notizia era falsa.

The existence on YouTube of a video entitled “Innocence of Muslims”, uploaded by a private individual in the United States, sparked riots across the Middle East. These riots are estimated to have claimed more than 50 lives.

L’esistenza su YouTube di un video intitolato “L’innocenza dei Musulmani”, caricato da un privato cittadino negli Stati Uniti, ha scatenato scontri in tutto il Medio Oriente. Si stima che le sommosse abbiano causato la morte di più di 50 persone.

Nel secondo caso parliamo di un estratto del film eponimo, di carattere antislamico, censurato dal presidente afghano Hamid Karzai nel 2012. Wikipedia ne spiega il motivo: secondo il Daily Telegraph, il film ritrarrebbe Maometto in scene di sesso, e lo dipingerebbe come sostenitore della pedofilia e dell’omosessualità.

Come difendersi da questi meccanismi? La risposta potrà sembrare scontata. Chiunque sia iscritto a un social network saprà che la condivisione di notizie (vere o infondate che siano) scaturisce dal desiderio di tenere informati i nostri “amici” sui pericoli o le possibilità offerti da un avvenimento esterno. Crediamo, insomma, di aiutare chi leggerà, anche quando non ci siamo accertati sull’attendibilità di ciò che stiamo diffondendo. Eppure, una bufala condivisa passivamente alimenta soltanto la disinformazione. La chiave è il fact checking, ovvero la verifica dei fatti. I motori di ricerca ci aiutano tantissimo, e nel caso in cui non fosse sufficiente cercare informazioni su luoghi o persone citati nel link sospetto, ci sarà utile sapere che in Italia sempre più giornalisti e blog si stanno dedicando alla “caccia alla bufala”: tra questi, Paolo Attivissimo e Bufale.net.

Parole tecniche che ho usato nell’articolo e di cui ti piacerebbe conoscere il significato:

Sociologia della Comunicazione

Settore della sociologia che studia i modi e la misura della persuasione, gli effetti che la comunicazione ha sul tessuto sociale e le caratteristiche del flusso comunicativo dal mezzo ai destinatari.

Omofilia

Comportamento, dominante nell’uso di internet in generale e dei social network in particolare, che porta l’utente a selezionare le sue ricerche e le sue frequentazioni sulla base di una propria identificazione con il simile.

Virale

Un’informazione virale è un’informazione che si diffonde velocemente. 3Grado medioCome un virus, o quasi. E quando è errata – la cosiddetta “bufala” – diventa in grado di muovere i mercati finanziari, determinare il fallimento di campagne elettorali, screditare aziende o persone.

Grado medio

È il numero di amici che un utente generico ha su Facebook. La sua definizione rientra nell’ambito di un approccio matematico e statistico alla comprensione di fenomeni sociali complessi. Che punta a sfruttare la grande mole di dati a nostra disposizione.

Agenda-setting

È una teoria nata in seno alla sociologia della comunicazione. Essa afferma che i media costruiscono la realtà su cui formarsi un’opinione. “L’assunto fondamentale dell’agenda-setting è che la comprensione che la gente ha di larga parte della realtà sociale è mutuata dai media” (Donald Shaw).

Analfabetismo funzionale

A differenza di un comune analfabeta, che non sa leggere né scrivere, l’analfabeta funzionale ha delle proprietà basilari di lettura, calcolo e scrittura, ma non sa elaborare concetti più complessi. Nel mondo dell’informazione, questo si traduce in un utente che legge una notizia, ma non riesce a comprenderla appieno.

Intelligenza collettiva

“Oggi, se due persone distanti sanno due cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare in comunicazione l’una con l’altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l’intelligenza collettiva” (Pierre Lévy).

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