[Ho sequestrato due editori-librai e li ho messi sotto torchio per 56 minuti. Questo è ciò che ne è venuto fuori: domande fuori programma, battute, polemiche, finché Massimo dei Blindur non si è unito alla nostra discussione. Un concerto a più voci terminato con una consapevolezza: aprire una libreria indipendente in provincia è un azzardo. Far crescere in quella stessa provincia una casa editrice, ancor di più. Ma se si ha la complicità, la follia, la caparbietà di Ugo e Tiziana, vivere di libri si può. Anche a Santa Maria Capua Vetere.]
È vero che siete nati prima come editori? Non è stato avventato scegliere proprio questa città per una casa editrice?
Ugo: Sì, siamo editori da vent’anni, la libreria è molto più giovane. Inizialmente eravamo in quattro, ma da circa cinque anni ci siamo solo io e mia sorella (Tiziana, ndr).
Tiziana: La casa editrice è nata dall’esigenza di fornire alla città di Santa Maria Capua Vetere delle guide turistiche. All’epoca eravamo molto giovani, bussammo a tutte le chiese possibili per avere contributi. Ovviamente nessuno ci prese in considerazione più di tanto, e allora decidemmo di fondare la Spartaco, la cui produzione si è rivolta sin da subito al territorio. Siamo stati noi a pubblicare la prima guida turistica di Santa Maria Capua Vetere, rimasta un unicum fino a qualche anno fa, e la vendiamo ancora, in un formato più agile ed economico. Quando, nel 2003, ci siamo aperti alla promozione e alla distribuzione nazionale, lo abbiamo fatto con due collane, che oggi rappresentano la Spartaco agli occhi dei lettori di tutta Italia: una è una collana di narrativa che si chiama Dissensi; l’altra è una collana di saggi di ispirazione libertaria – abbiamo pubblicato parecchi anarchici, anche di qui! Prima si chiamava Il risveglio, oggi semplicemente I saggi, perché le abbiamo dato un respiro più ampio.
E poi, l’apertura della libreria.
T: Nel 2006. Avremmo voluto aprire per Natale, ma abbiamo mancato di poco la data. Ogni anno, per festeggiare il compleanno della libreria – che cade il 29 – facciamo una festa per ricordarci che siamo sopravvissuti altri 12 mesi, perché avere una libreria indipendente non è una cosa semplice, soprattutto in una città come Santa Maria. Quella è anche l’occasione per incontrare i tanti amanti di libri che gravitano intorno a noi. In queste serate organizziamo spesso dei reading, in modo che anche i lettori possano essere protagonisti, condividendo con gli altri i loro libri preferiti.
In questi quasi dieci anni di attività, i vostri lettori vi hanno riconfermato come scelta? Avete un nucleo storico che cresce insieme a voi, o cambiano di continuo?
U: Questo è un posto dove innanzitutto si condividono passioni. Non ci siamo mai limitati a fare i commercianti, non abbiamo mai inteso la libreria come un semplice negozio. Spartaco è un luogo dove amici che hanno la stessa passione si incontrano. Ovviamente gli amici storici sono rimasti legati a noi e alla nostra proposta; altri si sono aggiunti e alcuni ci hanno abbandonato, com’è naturale che sia. Ma siamo contenti di aver raggiunto quasi tutti i sammaritani: non dico che tutti loro acquistino da noi, ma è certo che tutti sanno dell’esistenza di questo posto. Dicono che gli abitanti di questa città siano dormienti, ma posso dirti che, se stimolati nel modo giusto, rispondono. Ad esempio, qui non si era abituati a partecipare a delle presentazioni di libri: per la prima volta, noi abbiamo offerto questo ai sammaritani. Soprattutto grazie a Tiziana, bravissima a organizzare gli incontri e a far emergere con le sue interviste la personalità di ogni singolo scrittore. Inizialmente c’era un po’ di diffidenza, ma col tempo le persone si sono così affezionate agli appuntamenti che, quando siamo costretti a saltarne uno, loro vengono qui e protestano.
T: E poi c’è un altro luogo comune da sfatare, e cioè che i giovani non leggono e che sono presi soltanto dalla tecnologia. Il lettore-tipo della Spartaco è lo studente che frequenta la scuola o l’università, ed è soprattutto per i ragazzi che le porte di questa libreria sono sempre spalancate. Per esempio, c’è un gruppo di universitari che ci ha proposto di fondare un club di lettura dei classici che si chiama Matti per i classici: ci incontriamo periodicamente e commentiamo il libro che di volta in volta ci siamo dati da leggere. È bello rivederci e condividere i brani più salienti, o quelli che caratterizzano meglio una situazione o un personaggio.
Visto che il vostro progetto nasce con un forte legame con il territorio, com’è, ad oggi, il vostro rapporto con la città?
U: Sempre molto particolare. Prima di aprire questa libreria eravamo chiusi nel nostro ufficio, e sia noi che i libri della casa editrice eravamo poco conosciuti. Il grande vantaggio di aprire una libreria è quello di far conoscere il lavoro che facciamo da vent’anni, e permettere ad alcuni lettori di affezionarsi alle nostre pubblicazioni. Siamo arrivati a un catalogo di 130 titoli, abbiamo portato in Italia autori mai pubblicati, e i diritti di alcuni nostri libri sono stati venduti a case editrici straniere così da circolare anche all’estero. La città ci riconosce, sicuramente.
T: La libreria, più che la casa editrice, nasce proprio per essere una piazza culturale aperta a tutti. A differenza delle grandi catene, facciamo grande fatica a vendere le novità, anche perché abbiamo percentuali di guadagno differenti e non possiamo lanciare un nuovo titolo con il 15% di sconto. Ma rispetto a quel tipo di libreria, molto simile a un supermercato di carta, qui sono tantissime le persone che vengono a chiedere consigli, a chiacchierare di libri, a chiederci nuovi autori da scoprire e a darci indicazioni. C’è veramente un dialogo, un rapporto umano. Ed è gratificante tanto quanto vendere libri, perché questo fa in modo che alcuni scelgano di venire da noi pur non avendo lo sconto del 15%.
Puntiamo molto sui giovani e sulla loro educazione alla lettura. Mandiamo inviti in libreria alle scuole, ma spesso cadono nel vuoto. Abbiamo una scuola di fronte e una facoltà di lettere in città, ma l’università continua ad essere “napolicentrica”: buona parte dei suoi professori viene da Napoli; molti corsi finiscono il mercoledì, e la conseguenza è che la facoltà non incide sul tessuto culturale di Santa Maria. Quindi è difficile anche dialogarci. Abbiamo anche provato a creare un contatto con le istituzioni cittadine, ma alle nostre sollecitazioni non hanno mai risposto.
T: Questo ci dà anche la possibilità di scegliere liberamente, e non in base a quanto veniamo pagati. Se pubblichiamo un libro è perché ne siamo convinti, e quindi ci sentiamo poi di consigliarlo al lettore.
Ogni collana ha una sua filosofia. Quella di narrativa raccoglie storie di dissensi, come suggerisce il titolo. Ed è una cosa che prescinde dal genere letterario. Fino al 2009 ci occupavamo solo di autori stranieri, adesso ci siamo aperti a quelli italiani e, anzi, pubblichiamo più quelli… Anche perché è più efficace e meno oneroso organizzare presentazioni ed eventi promozionali se lo scrittore non deve fare un viaggio dall’estero. Ma non possiamo permetterci di essere generalisti, perché non possiamo competere in un campo dove verremmo schiacciati dalle grandi case editrici. Perciò ci siamo specializzati in un settore e vogliamo essere coerenti con quello che pubblichiamo.
[A un certo punto, Massimo dei Blindur fa capolino dalle scale della penisola dove ci eravamo appartati per l’intervista. Piacevolmente sorpresa, proseguo con le ultime domande.]
Sostanzialmente, come editori avete deciso di puntare sulla prosa.
T: A dir la verità, una volta sola facemmo un tentativo con un promotore di Milano, si sente ancora urlare (ride, ndr)! Lui ci disse che eravamo dei folli, che la poesia contemporanea non si vende. Aveva ragione.
Eppure i poeti in Italia ci sono.
T: Ma è questo il problema dell’Italia: tutti scrivono, però nessuno legge.
Massimo: Come i cantautori!
U: Esattamente. Tu non sai quante proposte di pubblicazione abbiamo avuto, anche dai sammaritani. Molti non hanno letto nemmeno un libro di fiabe e pensano di essere autori di best seller.
M: Autori di bestemmie…
T: Vabbè, Ugo…
U: (Si lascia scappare una risata per Massimo. Poi si rivolge alla sorella, ndr) Ma è la verità, scusa! Tornando alla poesia, considera che vendiamo tantissimo i poeti classici e, tra i contemporanei, la più venduta è la Szymborska. Per il resto, si guadagna molto poco.
Dal punto di vista dei guadagni, che differenza c’è tra il libro edito da voi e il libro che semplicemente rivendete?
U: Come casa editrice, abbiamo tante spese. Facendo un discorso spicciolo: su un libro di 10 euro, il 52% se ne va per la promozione, la distribuzione e lo sconto alla libreria che rivende il nostro libro. L’altro 48% è spalmato tra le spese tipografiche – le più alte in assoluto -, la corrente, i diritti d’autore, la traduzione, l’editing, la grafica… Considera che abbiamo un grafico nostro, e investiamo tantissimo su questo proprio perché la copertina è la prima cosa a colpire il lettore, ed è quella a renderci riconoscibili sullo stand in una fiera nazionale. Quindi, su un libro di 10 euro, la casa editrice introita poco più di un euro.
Nel caso di libri non nostri, la percentuale oscilla dal 25 al 30-35%. Sarebbero circa 3 euro su un libro di 10, ma sono lordi: devi sottrarre le tasse, le spese di spedizione che si pagano a ogni nuovo ordine o le spese di reso nel caso in cui tu non riesca a vendere il libro che hai prenotato. Perciò, diciamo che il guadagno è di poco inferiore.
T: Ecco perché riusciamo a mettere sconti solo per i nostri libri e non possiamo aderire alle campagne promosse da Mondadori, Rizzoli eccetera. Prevedono che tu debba fare un ordine minimo, perciò dobbiamo prima valutare se sia nelle nostre possibilità rivendere tutte le copie ordinate.
U: C’è una differenza tra noi e altre librerie non indipendenti, che si limitano a mettere sugli scaffali quello che viene loro inviato, spacchettando gli scatoloni con i nuovi arrivi senza nemmeno sapere cosa c’è dentro. Noi scegliamo personalmente i libri perché incontriamo periodicamente i promotori delle case editrici, e titoli che non ci piacciono non li prendiamo nemmeno in considerazione. Per esempio c’è Vespa, che è un autore che proprio non riesco a leggere, a cui è dedicato uno stand intero su una libreria come la Feltrinelli. Noi invece ne prendiamo giusto cinque copie per quei cinque ragazzi che ogni Natale devono regalare al padre il libro nuovo di Vespa.
T: Sapendo quanto è difficile essere una casa editrice indipendente, supportiamo gli altri editori mettendo i loro libri in vendita sui nostri scaffali. Facciamo anche parte dell’ODEI, l’Osservatorio degli Editori Indipendenti, a cui appartengono più o meno 90 case in tutta Italia e che organizza eventi o fiere per la nostra categoria. Poi partecipiamo alla fiera di Roma, Più libri più liberi, dedicata alla piccola e media editoria; al Salone del Libro di Torino, al quale partecipiamo per una questione di prestigio, e al Bookpride di Milano.
[Massimo chiede informazioni su Paolo Nori, autore a suo dire “introvabile”. Riesce a strappare da Tiziana un invito in libreria, poi ci saluta e va via con Michelangelo. Ugo accoglie la prima cliente. Ci accorgiamo solo ora che sono le quattro: ci siamo trattenuti per così tanto?]