[La Libreria Quarto Stato nasce come “Centro di Documentazione e momento di aggregazione” nel 1978, un anno di particolare fermento dal punto di vista storico: in Chile Pinochet annuncia il blocco delle consultazioni elettorali; l’Italia è teatro degli anni di piombo; in Cina viene proibita la lettura delle opere di Aristotele, Shakespeare e Charles Dickens; in Spagna viene approvata una Costituzione democratica dopo 40 anni di franchismo. La scelta di cominciare ad incontrarsi in un luogo di cultura, creando occasioni di confronto collettivo, avrà risentito di tali dinamiche nazionali e internazionali? Grazie alla cordialità di Ernesto Rascato abbiamo provato a dare una risposta, attraversando le tappe che hanno portato la libreria Quarto Stato a diventare una delle più longeve della provincia di Caserta.]
Sulla home del vostro sito internet si legge “Libreria Quarto Stato – Dal 1978 (r)esistiamo nel mondo della cultura e dei libri.” Perché parlate di Resistenza? Con tutti i significati che ovviamente questo termine porta con sé nel nostro Paese.
«Parliamo di Resistenza perché noi siamo nati come libreria critica, espressione della cultura underground e alternativa degli anni ’70. E proprio perché proviamo a stimolare uno spirito critico nelle persone che passano in libreria, secondo noi, al momento della vendita, ogni libro va approfondito nel suo contesto storico e letterario. Il libro, infatti, non va solo venduto ma deve essere accompagnato da nostre considerazioni rispetto alla storia, all’autore o a una determinata fase letteraria che lo caratterizza.
Tengo a precisare che queste sono tutte conoscenze che abbiamo assimilato col tempo. Io non sono nato libraio, per quanto appassionato di libri sin da bambino. È un mestiere che giorno per giorno viene acquisito e trasformato in ragione dell’indipendenza rispetto a i grossi gruppi editoriali che detengono il monopolio in Italia, quelli che fanno capo a Corriere della Sera, Espresso, Mondadori e Rizzoli da un lato e al gruppo di Messaggerie Libri dall’altro.
Non ti nascondo, però, che riuscire a sostenere le piccole case editrici è uno sforzo non solo economico ma anche professionale, perché è complicato veicolare verso di esse il gusto del cliente. Sostenere inoltre i costi di un libro che non si è venduto e che quindi ritorna indietro è pesante, oggi in modo particolare visto l’aumento dei costi di trasporto. Continua a leggere
[Qualche giorno fa, poco prima di presentare il suo ultimo romanzo “L’uomo che non riusciva a morire” presso la libreria Hamletica di Maddaloni, ho avuto la possibilità di intrattenermi per qualche minuto con Tony Laudadio, artista poliedrico della scena contemporanea che con grande disponibilità ha risposto ad alcune mie domande, provando insieme ad attraversare le diverse potenzialità narrative di chi svolge il mestiere di raccontare personaggi.]
Tony Laudadio: attore, autore per il teatro, scrittore, musicista, cantautore. E ancora, come si legge dall’autobiografia, sin da piccolo ha imparato a giocare a basket, a calcio, a pallavolo, a ping pong e a servire messa. Insomma: cosa non è Tony Laudadio?
«Tante altre cose, ma sarebbe difficile elencarle tutte. In effetti c’è un certo eclettismo che non posso negare, e devo dire che questo aspetto mi diverte molto. Passo volentieri da una cosa all’altra, per una questione di curiosità più che di esibizionismo, che comunque in parte c’è, ovviamente.
Cosa non sono è difficile dirlo perché in realtà mi proietto totalmente in quello che faccio e in quello che sono. Ad esclusione di tutto il resto, diventa compito di chi mi osserva decidere cosa non so fare e cosa so fare.»
Spesso gli scrittori si affidano ai social network per ricevere feedback sui loro libri in uscita e valutare l’umore del proprio pubblico. È una cosa che riguarda anche te?
«Non direi. Io sono poco social in questo senso. Ho in realtà solo un profilo Twitter. Non ho neanche la pagina Facebook, o meglio c’è ma non è curata da me bensì da un gruppo di persone che mi vogliono bene. Diciamo che mi limito ai 140 caratteri di Twitter che però devo dire hanno una loro bellezza, perché in effetti avere la possibilità di una comunicazione rapida e diretta con chi non avrebbe altrimenti modo di contattarti è piacevole. Ho scoperto tante persone che conoscevano me a mia insaputa ed è stata una bella sensazione. Continua a leggere
[Se un giorno Freud dovesse chiedermi “In quale occasione si sente trascinato ai tempi dell’infanzia?” risponderei senz’altro “Quando resto ipnotizzato davanti ai portoni antichi”. Letto questo, qualcuno potrebbe pensare ad un maldestro tentativo di emulare la celebre battuta di Jep Gambardella; in realtà sono sempre stato facilmente suggestionabile da quegli archi e quei corpi di legno che in silenzio hanno ascoltato voci, hanno osservato e conosciuto le tante teste che sono passate davanti ai loro occhi. E poi, chi almeno una volta nella vita non ha desiderato sbirciare al di là del muro? Il solito, imbarazzante effetto di regressione della memoria anche stavolta mi ha giocato un brutto scherzo. Piacevole, direbbe qualcuno. Invece ho dovuto interrompere questo stato di trance con caffè doppio e concentrarmi sullo scopo per cui mi trovavo a Capua, esattamente davanti al portone d’ingresso del Palazzo Lanza. In questo luogo, un tempo dimora della famiglia nobile Lanza – protagonista dei maggiori episodi del Mezzogiorno, a partire dai rapporti con la corte asburgica fino alle implicazioni nel ritorno del Regno da Murat ai Borbone – le vecchie stalle accolgono oggi il caffè letterario Ex Libris, che ha ospitato le riprese dell’ultima puntata di Fuori Catalogo e dove il gestore Giuseppe Bellone mi ha mostrato com’è riuscito a fare dei tratti peculiari della nostra provincia i punti di forza della propria attività.]
Le attività di Ex libris sono molto varie: c’è un’aula studi, si vendono libri, si organizzano corsi di lingua e presentazioni con autori. Dietro tutto questo lavoro c’è soltanto un’aspettativa commerciale oppure prevale una vera e propria vocazione culturale?
«Ex Libris nasce sostanzialmente come una libreria con annesso caffè e ristorante e negli ultimi tre anni è diventata anche una biblioteca riconosciuta dalla Regione Campania, con 15000 volumi messi a disposizione di chiunque voglia farne servizio di prestito. È ovvio che è anche un’attività commerciale: una libreria vende i libri perché vorrebbe vivere con quello che fa, così come potrebbe essere per il ristorante, per il caffè.
La spinta propulsiva per iniziare un percorso del genere – in una città come Capua, 15 anni fa – è stata sicuramente dettata da una passione per tutto ciò che fa cultura, e per me cultura significa anche la cultura del cibo, la cultura del vino, la possibilità di potersi incontrare in una città piccola come Capua ma così ricca di storia, di monumenti, di grande vivibilità, se solo fosse tenuta meglio. Sicuramente questo è un posto che poteva sembrare un po’ astruso ma che col tempo ha fatto capire bene cosa voleva fare e come lo voleva fare.»
Cosa puoi dirci in merito alla rassegna Capua il luogo della lingua?
All’interno delle nostre intense attività, fatte di incontri con scrittori e manifestazioni legate al mondo del libro – sia con eventi che facciamo qui in loco, sia con iniziative che organizziamo per le scuole e per altri contesti – da dieci anni è nata anche la rassegna Capua il luogo della lingua. Capua è la città del Placito Capuano, il primo documento scritto in volgare che sancisce la nascita della lingua italiana, come attestato appunto dagli storici. Questo sembrava uno spunto importante per la rivalutazione del nostro territorio e per avviare un percorso culminato in un festival che in 10 anni ha ospitato tantissimi ospiti di stampo nazionale (tra i tanti, Matteo Garrone, Enrico Ianniello, Diego De Silva, Antonio Pascale, ndr) partendo sempre dall’asse portante della scrittura ma declinandolo attraverso tutte le altre arti come la musica, l’arte visiva, la filosofia e quant’altro.
Qual è la vostra offerta editoriale? Preferite affidarvi alla piccola distribuzione anziché alla grande o viceversa? Cercate di valorizzare gli autori locali?
«Noi come libreria seguiamo tutti i canali della grande distribuzione offrendo libri che si possono trovare sicuramente in tantissime altre librerie, ma abbiamo anche attenzione per le realtà più piccole che spesso non trovano uno spazio adeguato nelle grandi librerie. La piccola libreria, soprattutto in una città di medie dimensioni, ha un valore importante anche e soprattutto per la presenza delle persone che ci sono dentro. Quindi il libraio, oltre a metterti nella condizione di poter acquistare dei libri, diventa sostanzialmente una persona che ti può dare dei consigli e noi, con le attività culturali che facciamo, diamo ovviamente molto spazio agli autori meno noti, alle case editrici più piccole, anche se a me ha dato sempre un po’ fastidio fare queste distinzioni. Io ho avuto ospiti negli anni scorsi che erano scrittori emeriti sconosciuti di case editrici piccolissime che poi sono diventati degli autori famosissimi. Per cui, io penso che il valore di una libreria deve essere quello dell’accoglienza senza distinzioni e discriminazioni: offrire al pubblico la possibilità di conoscere, laddove non ci fosse arrivato da solo, ed essere un punto di incontro e di confronto.»
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Tutte le riviste felici si somigliano, ogni rivista infelice è infelice a modo suo.
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