Resta, credi in noi

Foto di Vivian Maier

Dearest,

guardavo un film in tv e c’era la protagonista che urlava contro il suo compagno: “ti sei solo arreso, hai smesso di credere in noi”. Il suono di quelle parole mi ha svegliato come da un torpore. In un secondo c’eravamo io e te, con me che ti rincorro mentre scappi via furioso dopo la nostra ennesima lite, una delle più terribili. Ti sei arreso, te ne stai andando. Resta, credi in noi. Così urlavo e piangevo sbattendo le mani sul finestrino dell’auto che ci separava, lo stesso su cui si era condensato il nostro respiro, la nostra passione, e che adesso ci separava come un muro. Non mi guardavi nemmeno e tremavi, volevi solo accelerare e lasciarmi lì da sola. Sei andato via poco dopo. Litigavamo con la stessa forza con cui facevamo l’amore. E riuscivo a vederlo il tuo sentimento lì, nascosto tra le pieghe dei palmi che stringevi, dentro l’impeto delle parole e nel vuoto dell’assenza. Ci amavamo quando litigavamo, ancora più forte. Avevo paura che non tornassi più, ma quella corda invisibile che ci ha uniti, stretta intorno al cuore, ci riportava sempre l’uno all’altro.
Ogni litigio, ogni lontananza, ci urlava che le nostre anime si appartevano e che, per quanto decidessimo di separarci, il nostro amore ci aveva già stretti.
Ogni volta che ci lasciavamo non ci pareva di separarci, ma di andare ad attenderci altrove. Tra le canzoni, tra le poesie, le fotografie e i ricordi.
Tutto mi parla di te, mi manchi. È strano come una piccolissima frase, semplicissime parole possano rimettere insieme, come un collante indistruttibile, tutti i pezzi che fino a poco fa sembravano non poter mai più combaciare.

E così la violenza del nostro sentimento ci ha travolti, scuotendo le nostre vite. Ho iniziato a vivere da quando ti ho conosciuto: ho sentito nel sangue la rabbia, la gelosia, la passione, la felicità. Ho avuto quello che la letteratura descrive, quello che tutti desiderano.
Ho vissuto l’unico amore della mia vita.
Perché ne sono così sicura? Perché dall’ultima volta che ci siamo lasciati, mi ero come addormentata, avvolta nel mio dolore, bevevo e ribevevo la tua assenza ed ero certa che la rassegazione avesse germogliato nel mio cuore.
Sono bastate quelle parole, quelle stesse che ti urlai piangendo quella mattina a casa mia, a ridarmi la forza di scriverti.
Ti sei solo arreso, amore mio, hai smesso di credere in noi. Resta, credici ancora con me.

Sempre tua,

 

Sarà giustizia, sarà verità

Bob Mazzer, Bacio

Dearest,

mi aiuti? Ho bisogno di risposte, ho bisogno di serenità.

Amare. Che cos’è? Amore. Dove sei?

L’autenticità, la purezza, la verità dei sentimenti come posso riuscire a riconoscerla?

Se la tua felicità è senza di me, la mia infelicità da che deriva? E la mia, di felicità, dov’è? Se è verità ciò che sento come può non essere l’unica verità, anche per te?

Come posso avere delle risposte al mio tormento?

Aiutami… e non dire il tempo! Maledettissimo tempo, sì, il tempo è galantuomo e mette a posto tutte le cose. Quello che dev’essere, sarà. Sarà giustizia, sarà verità.

Sarà; ma nel frattempo?

Soffro la solitudine di chi sa dov’è la compagnia che cerca, soffro la tristezza di chi sa dov’è la sua felicità, soffro l’inquietudine di chi sa chi è la sua pace, la sua metà.

Ma è questa la verità?

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Non avrei mai voluto scriverti

chagall-passeggiata

Non avrei mai voluto scriverti, Dearest.

Me l’ero promessa. Avevo premesso a me stessa che non avrei mai ceduto, che sarei stata sincera sempre, che gli avrei detto sempre tutto.
A lui che aveva da subito saputo aprire una breccia nei miei silenzi, a lui che aveva in un attimo trovato la chiave. A lui che mi aveva ridato la vita, assopita nelle gioie, nei dolori e in tutte le emozioni che con cura negli anni avevo intonacato sotto la parete più spessa del mio cuore. A lui che mi aveva insegnato a respirare, a sentirmi leggera.
Era sempre bastato guardarci negli occhi e capirci, era sempre bastato stare insieme ed essere me stessa. Eppure eccomi qui.

Ora non posso più essere sincera con te, ora non ho altra via d’uscita.
Per questo devo scriverti. Per sopravvivere.

Si, quindi scrivo proprio a te.
Devo per forza dare una forma a quello che sento e darle vita, non mi va di commettere l’ennesimo omicidio dei miei sentimenti. Quelle censure a cui per anni mi sono abituata, che mi hanno distrutta, che mi hanno negato amori e possibilità. No, non voglio farlo mai più. Quello che sento è tutto ciò che sono, e deve vivere. Mi piacerebbe vivesse in te, che mi hai sempre accolto così com’ero, ruvida e impacciata. Ma questo non può accadere ora. Continua a leggere

Arrivederci amore, ciao

Henri Cartier-Bresson, In un treno (Romania, 1975)

Dearest,

Ti scrivo perché vorrei provare ad aprirti una finestra sui miei pensieri di questi ultimi giorni, su una parte di me.
Tu lo sai io non so parlare: mi arrotolo intorno alle parole, faccio mille giravolte e quasi mai riesco a dire ciò che vorrei.
Quando scrivo è come se il flusso di pensieri che sento aggrovigliato avesse uno sbocco, un percorso da seguire e una foce in cui, finalmente, liberarsi e scorrere.
Così eccomi. È facile parlare di come ti squarci l’anima un amore consumato, un legame in cui credevi poi naufragato tra silenzi e bugie, una storia di sesso che credevi fosse amore. Tanto è facile, che sulle lacrime e i cuori infranti ci hanno costruito secoli di letteratura.
Oggi perciò vorrei parlarti della felicità del nostro inizio, della consapevolezza di abbandonarsi a un sentimento che ti fa paura, che non sai gestire, ma che ti sostiene, ti cura, salvifico, bello. Bello che proprio non puoi farne a meno. Perché, ti starai chiedendo, voglio scriverti dell’inizio. Alle volte, dopo esserci urlati contro, mi arrabbio per averti detto tutti quei sì, mi chiedo perché cazzo mi trovo a questo punto, perché devo sentire così tanto dolore. Poi mi fermo un attimo, ricordo il perché e mi comprendo. È tutto spiegato lì: nel nostro inizio.
Come avrei potuto non innamorarmi di te?
Io e te insieme si è come le parole, quelle belle, che insieme diventano poesia. Improvvisamente poi viviamo momenti in cui non riusciamo a stare in una stessa frase, ci distruggiamo, ci allontaniamo, ma mai abbastanza da non poterci trovare più.
Avrei voluto che vedessi i tuoi occhi, mentre si specchiavano nei miei e mi dicevi quelle parole quella notte, nudi coi vestiti addosso.
Come avrei potuto non crederti? Io ti guardavo nell’anima, si è svelata a me. Un’anima fragile, come sono tutte le cose più rare, più belle. Delicata che te ne devi prender cura, stare attenta a non spingere troppo ché lì è tutto in equilibrio precario, ma la luce sotto le tue macerie, io l’ho vista: era accecante, risplendeva. Eri tu, il vero te.
Con tutti gli altri indossavi una maschera, ma con me eri te stesso: eri bellissimo. Quella bellezza che il tempo non cancella, un bellezza che si annida nel cuore e ne fa dimora.
Potrei spiegartelo con parole povere, ma quando parlo di te, anche le parole si arricchiscono di quella passione che ci ha legati, dell’amore che ci ha stretti. Continua a leggere

Liber’amare

Banksy, I love you

Dearest,

Sai, è strano scrivere avendo negli occhi il volto di qualcuno che non sia lui. È stato una parte della mia vita, come sai, una parte che mi ha cambiata, mi ha spinto a guardarmi dentro, mettendo in discussione quelli che un tempo erano i miei principi.

Ho deciso di scriverti per ringraziarti. Lo so che tu mi dici sempre che non devo, che non è necessario e forse per questo che ho voglia di farlo ancora di più.

Mi hai insegnato ad amare. Io ho amato nella mia vita, sì.

Ho amato in modo torbido, in situazioni oscure. Ho amato forte, fino a perdere il controllo di me stessa, fino a dissolvermi in mille volute di odori e sapori differenti. Ho amato per dimostrare di poter essere bella, desiderabile per chiunque, tranne che per lui. Ho amato perdendo la mia dignità, dimenticando di amare me stessa. Ho amato perché ho creduto. Ho creduto che lui fosse l’amore, quanto meglio io potessi, chissà perché, meritare. Ho amato e non mi sono lasciata amare.

Poi la vita mi ha fatto un regalo inatteso: tu.

Mi hai scelta e mi hai amata, mi hai raccolto dalle mie macerie. Mi hai insegnato che il mio non si chiama amore: l’amore si nutre di bellezza e luce, rifugge da ombre, menzogne e fanghiglia.

Di quella sera, ricordo hai chiesto come mi chiamassi e sono arrossita, riesco a sentire ancora la carica di calore che avvertivo sotto la pelle e risaliva verso le orecchie. Non ascoltai il tuo nome, lo stesso che oggi, quando lo pronuncio, mi riporta a casa. Continua a leggere