di Annamaria Finotti | È martedì sera e corro a casa dopo una giornata estenuante di lavoro, sperando di essere in tempo per l’inizio della puntata, perché, diciamocelo, da quando è stata annunciata, la serie televisiva I Medici ha creato più attesa del rigore di Grosso ai mondiali del 2006. Mi sono documentata poco riguardo la serie, il solo fatto che fosse incentrata sulla dinastia dei Medici ha suscitato il mio interesse, complice anche la presenza di un cast internazionale in cui figura Richard Madden, per gli amici Robb Stark. Così, senza particolari aspettative, con una punta di emozione, accendo la TV e comincio a osservare con attenzione le immagini che scorrono davanti ai miei occhi, accompagnate da una musica che non c’entra assolutamente nulla con il contesto. “Cominciamo bene”, penso.
La prima puntata è intitolata Il peccato originale, titolo pertinente, in quanto la narrazione non si fa scrupolo di mostrare una chiesa che di spirituale non ha nulla, è pura politica e corruzione. In questo contesto si destreggiano i giovani membri della famiglia Medici, dei quali viene messa in evidenza la sottile linea che separa il loro mestiere di banchieri dal rischio di apparire usurai. Mentre la narrazione prosegue al ritmo di un montaggio parallelo che ci mostra gli eventi della Firenze dei primi anni del ‘400 e in flashback quelli di venti anni prima, l’occhio cade sulle bellezze artistiche e paesaggistiche della città, accuratamente ricostruite tramite un lavoro attento di scenografia e computer grafica, a tratti molto insistente. La seconda puntata, dal titolo La cupola e la dimora, ha aumentato il senso di attesa che avevo per il momento della costruzione della cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Ho immaginato almeno una ventina di modi in cui la scena potesse essere presentata, ma in nessuno di questi mi sarei aspettata l’ingresso trionfale di un Brunelleschi talmente enfatico e patinato da lasciarmi perplessa per qualche minuto. Mentre esprimevo le mie reazioni sui social in relazione a ciò che stavo guardando, Alessandro Preziosi nei panni di Brunelleschi spiegava il progetto della cupola in maniera così penetrante da ricordare la verve con cui Alberto Angela riesce a rendere interessante un mosaico tardoantico che rappresenta una posata. Tra relazioni segrete, omicidi misteriosi e intrighi politici, la seconda puntata si chiude con l’arrivo della peste.
Entusiasta di quanto appena visto, cerco opinioni a caldo sui social, misura di tutte le cose, e noto che il pubblico si è spaccato a metà: da un lato ci sono i detrattori della serie, dall’altro quelli che l’hanno apprezzata. Leggo i commenti e non capisco se mi trovo di fronte alla carica degli storici dell’arte che vivono il loro momento di gloria o se improvvisamente, come succede di solito in questi casi, sono diventati tutti esperti della materia. Continua a leggere