Pulp Fiction e l’estetizzazione della violenza

12 maggio 1994: inizia, in Francia, il 47° Festival di Cannes, uno dei più celebri del mondo cinematografico. Come ogni anno, molti e provenienti da diverse parti del mondo sono i film che ambiscono alla prestigiosa Palma d’Oro; tra questi, c’è Pulp Fiction, secondo lungometraggio di Quentin Tarantino, destinato a diventare uno dei cineasti più influenti della sua generazione. Su quel che accadrà a Cannes, qualche settimana dopo, ci torneremo a fine articolo.pf

Pulp Fiction è, ad oggi, uno di quei film-simbolo della settima arte: ci sono stati un “prima” e un “dopo” Quarto potere, capolavoro diretto da Orson Welles nel 1941, e ci sono un “prima” e un “dopo” anche nel caso dell’opera più significativa di Tarantino. Però, se il film di Welles rivoluzionava il mezzo cinematografico nel contenuto e – soprattutto – nella forma (si pensi all’utilizzo della profondità di campo e del piano-sequenza), Tarantino è stato bravo, in questo ed in altri casi della sua filmografia, ad “innovare” pur attingendo a piene mani dal passato. Osserviamo, ad esempio, il modo in cui vengono narrate le vicende in Pulp Fiction: fabula e intreccio non coincidono, ovvero gli eventi non sono raccontati nell’esatto ordine cronologico, ma vengono esposti in maniera tale da creare un percorso circolare, dove la fine e l’inizio combaciano. Fortunata invenzione di Tarantino? No, ricordando che anche nel magnifico C’era una volta in America di Sergio Leone (che Tarantino più volte ha indicato come suo maestro), troviamo un simile espediente narrativo.

Detto questo, quale storia racconta Pulp Fiction? Sarebbe difficile riassumere in poche righe gli episodi che lo compongono. Tutto quello che si può dire è che il regista mescola sapientemente le storie di due sicari, un pugile, la moglie di un gangster e due banditi poco professionali; ma, in verità, non è tanto interessante la trama (per chi se lo chiedesse, sì: la valigetta attorno alla quale ruota buona parte del film è un McGuffin*) quanto il modo in cui viene messa in scena. Ed è qui che bisogna fare riferimento al “pulp” contenuto nel titolo… Cos’è il Pulp? Stando a quanto dice Wikipedia, esso è «un genere letterario che propone vicende dai contenuti forti, con abbondanza di crimini violenti, efferatezze e situazioni macabre».

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Tarantino ha avuto il merito – secondo il parere di chi scrive – di prendere un genere letterario della prima metà del ‘900 e trasformarlo in genere cinematografico a cavallo tra vecchio e nuovo secolo. E in Pulp Fiction la violenza, estetizzata al massimo, regna sovrana in molteplici forme: si va dall’omicidio allo stupro, passando per un’overdose di cocaina.

Le immagini forti, poi, sono accompagnate da dialoghi brillanti, spesso avulsi dal contesto, e situazioni surreali, capaci addirittura di divertire lo spettatore.

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Ovviamente, il genio tarantiniano non basta; per funzionare deve essere sorretto da attori in grado di calarsi alla perfezione nella parte loro assegnatagli e, in questo senso, il cast della pellicola è a dir poco stellare: ad oggi personaggi quali Jules e Vincent, Mia Wallace e Mr. Wolf (interpretati rispettivamente da Samuel L. Jackson, John Travolta, Uma Thurman e Harvey Keitel), sono diventati iconici e riconosciuti in ogni angolo del globo.

Inoltre, come in ogni suo film che si rispetti, la colonna sonora è composta da canzoni preesistenti perfettamente pertinenti alle scene cui fanno da sottofondo: possiamo ricordare, per tutte, You never can tell di Chuck Berry, sulle note della quale ballano Mia e Vincent (la scena, tra l’altro, è un evidente omaggio a di Federico Fellini). Solo per la sua ultima fatica, The Hateful Eight, il regista originario di Knoxville si è permesso di utilizzare musiche composte ex novo per il film, affidandosi ad Ennio Morricone, che lo scorso anno ha vinto – proprio grazie a questo suo lavoro – l’Oscar per la miglior colonna sonora.

Ma torniamo al Festival di Cannes del maggio 1994: la giuria, presieduta da Clint Eastwood, assegna la Palma d’Oro a Pulp Fiction. Tarantino e gli attori salgono sul palco fra gli applausi del pubblico, o quasi: una signora francese, infatti, grida allo scandalo; Tarantino ride, scruta la platea e poi, con grande nonchalance mostra il dito medio! L’anno successivo, insieme al suo collaboratore Roger Avary, verrà premiato anche con l’Oscar per la migliore sceneggiatura.

Dal 1994, il regista è entrato nel gotha del cinema mondiale, osannato o criticato senza mezze misure: d’altronde, come egli stesso ha ammesso, il suo cinema «o si ama o si odia».

*McGuffin: termine coniato da Sir Alfred Hitchcock per indicare un oggetto di cruciale importanza per i personaggi del film, ma che non possiede alcun significato per gli spettatori.

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Curiosità: il famoso passo “Ezechiele 25:17”, citato da Jules prima di uccidere la sua vittima, non esiste nella Bibbia: Tarantino si ispirò a Karate Kiba, film del 1976, dove il versetto è pronunciato da Sonny Chiba, artista marziale giapponese molto apprezzato dal regista.