CINQUANT’ANNI DOPO. 1967-2017. I territori palestinesi occupati e il fallimento della soluzione a due Stati.

cinquant'anni dopo palestina

di Davide Fusco | Ci siamo incrociati in un afoso pomeriggio del giugno scorso. S’era a pochi giorni dalla sua immissione nel mercato librario, e Michele Giorgio lo presentava ai lettori in un parco pubblico casertano. Cinquant’anni dopo è un testo che ha la natura d’un veicolo low cost, sul quale mettersi comodi per viaggiare in direzione d’una terra distante, ma cruciale nell’assetto geo-politico mondiale. Il saggio, pubblicato nel 2017 da Edizioni Alegre, con le sue pagine trasporta il lettore in Palestina, facendogli scrutare le faccende socio-economiche e politiche dei cinquant’anni intercorsi tra la fine della guerra dei sei giorni ad oggi.

Gli autori: Michele Giorgio e Chiara Cruciati.

Entrambi da anni operano come giornalisti a Gerusalemme: il primo è dal 1994 corrispondente del Manifesto in Medio Oriente; la seconda è caporedattrice dell’agenzia di stampa indipendente Nena News.

Il testo.

Esordisce dipingendo un nitido quadro della guerra dei sei giorni, che segna l’avvio della colonizzazione israeliana della Palestina storica, costituita da territori quali Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est. Questa fase del saggio è fondamentale per la comprensione del processo col quale gli israeliani hanno progressivamente schiavizzato i palestinesi riducendoli ad uno stato da apartheid. Nell’arco temporale descritto, s’adempie un piano preordinato, volto a disgregare da un punto di vista politico e territoriale il popolo palestinese. Questo diabolico piano è ormai prossimo al suo pieno adempimento. A palesarlo è: da un lato, la rivaleggiante discordia dei due attuali governi palestinesi, Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania; Continua a leggere

L’ingegno italiano per salvare la diga di Mosul

donne-curde-contro-isis-02-1000x600di Salvatore Luiso | Nel concetto stesso di guerra è insita l’idea del caos, ma quella siriana (e in parte irachena) ha raggiunto un tale livello di criticità che se fosse un personaggio sarebbe certamente uscito dalle Metamorfosi di Ovidio: una ribellione che muta in guerra di liberazione, una guerra di liberazione che si trasforma in guerra civile, una guerra civile che esplode a colpi di kamikaze nella guerra al terrorismo. In un guazzabuglio confusissimo di oltre 50 gruppi si ergono i Pashmerga curdi, che iniziano a sentire odore di indipendenza; la faccia da vittima di Assad, il dittatore che faceva uccidere i civili ribelli per lasciarli nelle strade di Damasco durante i primissimi mesi di guerra, quando tutto ruotava ancora attorno al fallimento prossimo della Primavera Araba, e del suo angelo custode Putin, un capo di Stato che assume i contorni di alter christus o di serpente luciferino in base alle posizioni politiche di chi si ha di fronte.

Se la guerra fosse intelligente, si potrebbe dire che l’amore reciproco fra le parti in causa è tanto forte quanto è potente il terzo incomodo: l’IS, l’ISIS o l’autoproclamato sedicente Stato Islamico o, ancora più semplicemente, Califfato, che dir si voglia. Ma se solo la guerra fosse intelligente. Stanno invece tutti contro tutti, come gli iracondi dannati nella palude Stigia, condannati per l’eternità a percuotersi e scannarsi fra loro. E se non bastasse tutto questo, in mezzo c’è tutto un rapporto di alleanze fra Paesi non proprio amici, come l’Iran, l’Iraq, la Turchia, gli stati membri dell’Unione Europea, la Russia e gli Stati Uniti, tutti attenti ai propri interessi in una delle aree più ricche al mondo di petrolio, ma sempre più povere di persone, che quando non muoiono cercano la fortuna nelle rotte del Mediterraneo.

Le chiavi di questa guerra si protraggono per un’area vasta quanto il cuore dell’Europa, fra la Siria stessa e l’Iraq, che nel momento di massima crisi si trovò il Califfato islamico alle porte di Baghdad. Continua a leggere