La poesia che (non) si doveva scrivere

A home transformed by the lightning
the balanced alcoves smother
this insatiable earth of a planet, Earth.
They attacked it with mechanical horns
because they love you, love, in fire and wind.
You say, what is the time waiting for in its spring?
I tell you it is waiting for your branch that flows,
because you are a sweet-smelling diamond architecture
that does not know why it grows. 
[1]

Questa lirica è stata pubblicata dalla rivista «The Archive» della Duke – la prestigiosa università americana – nel 2011. Colui che l’ha firmata, Zackary Scholl, probabilmente non è ha mai composta una, nonostante gli piaccia molto leggerle: il componimento che ha inviato, infatti, è stato scritto da un suo algoritmo.
Quello di Scholl era uno dei primi tentativi di far scrivere ad una IA un testo creativo. Già nello scorso articolo ne avevamo accennato riguardo ai report giornalistici di Associated Press e all’ingresso delle IA nelle arti.

At The World's Fair

Come funziona l’algoritmo di Scholl? Il programmatore ha assegnato ad ogni parola di un vocabolario basato su liriche inglesi un valore positivo (+1), neutro (0) o negativo (-1): chiedendo poesie sdolcinate, la macchina utilizza parole positive; chiedendone più malinconiche, userà parole negative. Il sistema di Scholl è abbastanza rudimentale, eppure non solo nessun essere umano si è reso conto che l’opera era stata scritta da un PC, ma addirittura potrebbe averla trovata piacevole, bella, emozionante. [2]

Venendo a qualcosa più vicino a noi, Galileo.net ha pubblicato un articolo molto interessante sul lavoro di Jack Hopkins, fondatore della Spherical Defence Labs LLC di Londra ed ex ricercatore presso il laboratorio di Informatica di Cambridge. [3] Hopkins sta sviluppando alcuni algoritmi per “insegnare” ad una rete neurale artificiale a comporre poesie paragonabili a quelle dei poeti umani. Il suo sistema è molto più “professionale”: sono stati caricati nel programma ben 7,56 milioni di parole ricavate da libri di poesie del ventesimo secolo. Questa IA, inoltre, avrebbe una speciale memoria sia a breve che a lungo termine, “esercitandola” alle emozioni. Il risultato è che il nuovo sistema riesce a scrivere poesie in diverse forme ritmiche, adoperando soluzioni formali e strutture retoriche, persino la rima.

L’IA di Hopkins è in grado di scrivere poesie su molte tematiche: proponendogli una poesia sull’estate, il sistema troverà tutti i termini che richiamano la stagione più calda e ci comporrà una lirica. Nel 70% dei casi in cui l’IA ha composto una poesia “sensata”, gli esseri umani non sono stati in grado di distinguere fra queste poesie e quelle composte da autori umani, trovando spesso le prime addirittura più belle, dunque emozionanti. [4]

Mentre nel mondo Occidentale si lavora a questi esperimenti, in Cina esce il primo libro di Xiaoice:

Towards city lights with me biting his calm mind
still hidden in the city of chicken called
just the darkness out
will show a new world!
When there is a creature of poetry
towards the city lights keep me
biting his calm thinking
your eyes flashing. 
[5]

Xiaoice significa “Little Ice”, Piccolo Ghiaccio. È una chatbot, una IA creata da Microsoft, che ha studiato 519 poesie composte dal 1920 ad oggi.

Cheers Publishing, che ha curato la pubblicazione della raccolta poetica, l’ha descritta come “il primo volume di poesie scritto da un’intelligenza artificiale nella storia dell’umanità”. Il libro si chiama “Sunshine Misses Windows” e conta dieci capitoli, ognuno dedicato a un’emozione umana come la solitudine o la felicità. Ancora i produttori del libro spiegano:

ogni volta che vede un’immagine, [Xiaoice] diventa ispirato e crea una poesia moderna. Il processo è lo stesso dei poeti in carne ed ossa.

La chatbot riesce a scrivere ben 10.000 componimenti in 2.760 ore. Diversi poeti si sono ribellati a quest’opera: hanno detto che le macchine non possono rimpiazzarli, che mancano di vera emozione, che si occupano solo di mettere le parole in ordine diverso. “Nessun sentimento, quindi, solo automazione”, riassume bene Rosita Rijtano su Repubblica. [6] Eppure queste poesie piacciono, emozionano.

robot_writer1Le macchine, che si voglia o meno, sono in grado di scrivere in maniera creativa. Ci riescono perché stanno imparando bene il nostro modo di comunicare attraverso il più grande strumento di comunicazione del mondo: internet. È risaputo che Google abbia usato le conversazioni dei servizi Gmail e Allo, creando non pochi problemi di privacy, per insegnare a parlare alle proprie IA. Così come Facebook è in grado di sapere cosa pubblichiamo e di descrivere le nostre foto attraverso un servizio automatizzato basato su algoritmi: le macchine vedono, leggono, imparano. Comprendono? Forse è ancora presto per dirlo, ma non è questo il punto.

Quello che mi preme di più ora è notare come può mutare la figura del poeta, dell’autore. Perché sì, la macchina scrive le poesie basandosi su regole come l’essere umano, ma, a differenza dell’essere umano, non può ancora uscire da questi schemi. Inoltre la macchina ha un limite di tipo linguistico: il vocabolario di parole nel quale può scegliere non è legato alla sua esperienza personale, come per noi, bensì ad un elenco base che gli viene passato.

A mio avviso sembra abbastanza palese che si sia creata una sorta di “sovra-autore”, un autore al di sopra dell’autore, che fornisce le parole da usare. Per quanto il vocabolario possa essere ampio, segue criteri specificati a priori da un essere umano (le poesie dal 1920 ad oggi, per esempio, come per Xiaoice). È un tema piuttosto affascinante sul quale vale la pena riflettere, per comprendere non solo un po’ di più come funziona la poesia (e le associazioni che creiamo leggendole e scrivendole), ma anche come funziona il nostro cervello.

Il vocabolario che usiamo per scrivere si basa sull’associazione: gli scienziati ci insegnano che le libere associazioni fra parole rappresentano il sistema di funzionamento del nostro pensiero, del nostro linguaggio.

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Mentre scriviamo, e questo vale ancora di più per la poesia, le parole che scegliamo, le associazioni che facciamo, non solo fanno parte del lavoro artistico, ma ne sono il cuore: la differenza che passa fra “una siepe senza foglie” e “una siepe scheletrica” rientra nel campo della nostra esperienza come singoli, della nostra personale associazione mentale. Ma la macchina non ha le proprie associazioni: non unisce le parole in base alle sue esperienze, ma in base ad un algoritmo che collega le parole di un vocabolario creato a priori da un essere umano, tra l’altro in maniera assolutamente analitica (nessun essere umano si è creato il suo vocabolario, e le sue associazioni, leggendo poesie di un determinato contesto storico).

L’unico modo per sciogliere la contraddizione fra l’emozione che può generare una poesia scritta da un algoritmo e la libera associazione fra parole di un autore umano (fondato per forza di cose su un’emozione), è appunto la realizzazione della figura del “sovra-autore”, come accennavo prima: l’ingegnere dietro la macchina, il letterato dietro il vocabolario.

[1] Una casa trasformata dal fulmine / le bilanciate alcove soffocano / questa insaziabile terra di un pianeta, la Terra. / Loro la attaccano con corna meccaniche / perché loro ti amano, amore, nel fuoco e nel vento. / Tu dici, qual è il momento di attesa nella sua primavera? / Io ti dico che sta aspettando che il suo ramo scorra, / perché tu sei un’architettura di diamante dall’odore dolce / che non sa perché cresce. (Trad. mia)

[2] Maggiori informazioni su Motherboard: Brian Merchant, La poesia che ha superato il test di Turing, in «Motherboard», 5 febbraio 2015. Esiste anche il sito ufficiale dell’algoritmo: https://www.poetrygenerator.ninja/poem/e8d5a2557bcd43c7 . Il codice del programma è open source e disponibile su GitHub.

[3] Alessandra Pedriali, Se l’intelligenza artificiale scrive poesie, in «Galileo», 13 luglio 2017, url: https://www.galileonet.it/2017/07/le-macchine-compongono-poesia-meglio/

[4] Si può provare qui: http://neuralpoetry.getforge.io/

[5] Verso le luci della città mi morde la sua mente calma / ancora nascosto nella città chiamata del pollo / solo l’oscurità fuori / mostrerà un nuovo mondo! / Quando c’è una creatura di poesia / verso le luci della città mi trattengono / mordendo il suo pensiero calmo / i tuoi occhi brillano. (Trad. mia)

[6] Rosita Rijtano, Cina, in libreria il primo volume di poesie scritte dall’intelligenza artificiale, in «Repubblica.it», 1 giugno 2017, url: http://www.repubblica.it/tecnologia/2017/06/01/news/cina_in_libreria_il_primo_volume_di_poesie_scritte_dall_intelligenza_artificiale-166968974/#gallery-slider=166977799

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