Cos’era
(What it was)
I
Era impossibile da immaginare, impossibile
da non immaginare; il suo azzurro, l’ombra che proiettava,
che cadeva a riempire l’oscurità del proprio freddo,
il suo freddo che cadeva fuori di sé, fuori di qualsiasi idea
di sé descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia,
una macchia, un punto, un punto entro un punto, un abisso infinito
di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che affoga
in sé, qualcosa che va, un’alluvione di suono, ma meno
di un suono; e la sua fine, il suo vuoto,
il suo vuoto tenero, piccolo, che colma la sua eco, e cade,
e si alza, inavvertito, e cade ancora, e così sempre,
e sempre perché, e solo perché, una volta essendo stato, [era…
II
Era l’inizio di una sedia;
era il divano grigio; era i muri,
il giardino, la strada di ghiaia; era il mondo in cui
i ruderi di luna le crollavano sui capelli.
Era quello, ed era più di quello. Era il vento che sbranava
gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava
di stelle sulla riva. Era l’ora che pareva dire
che sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti
mai più chiesto nulla. Era quello. Senz’altro era quello.
Era anche l’evento mai avvenuto – un momento tanto pieno
che quando se ne andò, come doveva, nessun dolore era tanto grande
da contenerlo. Era la stanza che sembrava immutata
dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello
che s’era dimenticata, la penna lasciata sul tavolo da lei.
Era il sole sulla mia mano. Era il calore del sole. Era come
sedevo, come aspettavo per ore, giorni. Era quello. Solo quello.
Traduzione di Damiano Albeni
Quando Mark Strand venne tradotto per la prima volta in Italia raccontò a Damiano Albeni, suo traduttore, Continua a leggere